"Incontro / Dibattito" Dott Tommaso Albanese e Dott Mario Ciaccia
Il dibattito organizzato dal Business Club Italia sul tema ‘Sviluppo delle infrastrutture tra mercato ed iniziativa pubblica”, accoglie quali oratori il prof. Tommaso Albanese, ex Morgan Stanley, ora Adjunct Professor in Finance alla New York University Stern e Lecturer alla Cass Business School di Londra e il dott. Mario Ciaccia ex magistrato della Corte dei Conti, attualmente Chief Executive Officer nonché capo della divisione che si occupa delle infrastrutture del Gruppo Intesa San Paolo.
C’è bisogno di chiarezza sulla valutazione dei rischi finanziari che il settore delle infrastrutture comporta - dice in apertura Tommaso Albanese – perchè in anni recenti ha subito rivoluzioni tali da renderne difficile la lettura e le teorie utilizzate per calcolare l’implicito rapporto rischio equity/debito – dal CAPM (capital asset pricing model) ai raffinati multi-factor models – sono inadeguate, se non addirittura fuorvianti, ad interpretare la realtà complessa del mercato.
É più una lecture rigorosa che un intervento il suo, in cui espone molto tecnicamente la sua tesi.
Politiche liberiste, crescita esponenziale del mercato mondiale, deficit di bilancio pubblico per le economie avanzate e nuovi modelli pensionistici e assicurativi, hanno trasformato il settore delle infrastrutture che, ponendo come anno zero la crisi economica, nell’ante crisi si è poggiato sulla spinta esplosiva del capitale privato ma, nel post crisi, ha vissuto e vive degli interventi dei governi e quindi di capitale pubblico.
Dal leverage del privato al leverage del pubblico.
Lo scenario che si propone ora è quello di un partenariato pubblico/privato nel quale però la distribuzione dei rischi non è bilanciata perché il risk profile non è lineare.
In altri termini, poiché i privati usano il finanziamento con debito e non con equity, il rischio imprenditoriale è limitato e comparabile con quello delle altre parti coinvolte su cui tale rischio viene trasferito - lo stato stesso, i contribuenti finali – parti che però, non partecipano del medesimo rendimento dell’equity.
La tesi di T. Albanese è che fattori quali il controllo che il capitale privato può esercitare sulle infrastrutture dal settore pubblico, nonché l’introduzione di una probabile componente di leverage, rendono indistinto, sfumato, il limite rischio equity/debito.
Applicando alle infrastrutture la definizione ‘too important to default’, parafrasi dell’espressione ‘too big to fail’ relativa alle banche d’investimento, rileva la necessità di una regolamentazione internazionale maggiormente focalizzata sul ciclo vitale dell’infrastruttura, differenziando la fase di sviluppo ad alto CAPEX (capital expenditures) da quelle a più alta efficienza operativa (tesi sostenuta dal prof. Dieter Helm, Oxford University).
Il così detto ‘hot money’, il capitale privato che comprende sovereign funds, private equity, investment banks, etc. ha già individuato la necessità di un arbitraggio tra rischio equity/debito, perché, e così conclude il prof. Albanese - “finché non ci sarà maggiore chiarezza da parte di chi si occupa di teoria economica e finanziaria sulle dinamiche del settore, nonché maggiore consapevolezza da parte d’operatori e, soprattutto, regolatori dei rischi connessi alle nuove forme di finanziamento delle infrastrutture, ci saranno sempre spazi per opportunità d’arbitraggio per alcuni e rischi inattesi per altri, dietro i sinceri sforzi per stimolare i necessari investimenti privati nelle infrastrutture”.
Il dott. Mario Ciaccia vede le infrastrutture come un volano della crescita, in cui il partenariato pubblico/privato diventa necessità, dualismo ineludibile, perché fondamentale elemento di sviluppo.
Focalizza il suo intervento sulle condizioni al contorno, i constraints necessari affinché il partenariato si realizzi, a qualunque tipologia esso appartenga, istituzionalizzata, contrattualizzata o quant’altro.
Tali condizioni implicano diverse variabili, quali una governance pubblica che sia adeguata agli interventi da realizzare, nonché l’efficienza stessa della pubblica amministrazione.
Guardando al contesto dell’economia globale nel quale si è inseriti, la necessità è quella di una credibile programmazione ai vari livelli di governo in un’ottica che sia assolutamente unitaria, la medesima per tutti i paesi, in cui la qualità dei progetti sia un parametro fondamentale poiché incidente sulla realizzabilità delle opere e sui loro tempi di attuazione.
Occorrono quindi regole precise che tutelino ruolo, qualità e centralità dei progetti.
Passa a parlare della funzione delle banche in un’economia globalizzata, questa economia, attribuendo loro un ruolo essenziale nel sistema, anche quello di enti con una ‘responsabilità sociale’.
Afferma che non è sufficiente identificare la struttura finanziaria ottimale di un progetto ma occorre anche verificare, ed usa un neologismo, che la struttura sia “bancabile”.
In altri termini, che sia coerente con quelle condizioni prevalenti sui mercati finanziari relative ad operazioni che abbiano durata e livello di rischio comparabile, che prevedano quindi una distribuzione del rischio più efficiente.
Conclude con la tesi che l’istituzione finanziaria possa essere un collante forte per le diverse parti componenti il partenariato, ovvero istituzioni, traders, finanza e che possa anche assumere il ruolo di interlocutore privilegiato nei confronti dei governi.
È sempre acceso ed interessato il dibattito che si apre al Business Club, ma un problema resta insoluto, quello concernente la distribuzione dei rischi, che paiono uguali per tutti, e il rendimento dell’equity, che sembra invece a favore del privato.
Supponendo che esistano molti bravi matematici capaci di sviluppare modelli che diventeranno finanziari e che saranno più raffinati e puntuali dei multi-factor models nell’interpretare le variabili in gioco, esiste davvero la volontà di regolamentare il settore dell’infrastructure finance?
Anna Maria Sanna