"Incontro / Dibattito" Professori dell'Universita' LUISS Guido Carli

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Descrizione

Un dibattito, quello del Business Club Italia, che si dispiega su un argomento controverso quale le misure da adottare per superare la crisi italiana.
Si apre con una domanda pesante, quella del downgrade italico da A+ ad A, operato da Standard & Poor’s’.
A rispondere ci sono Gian Maria Gros-Pietro, Pietro Reichlin e Giuseppe Ragusa, economisti e professori dell’Università Luiss Guido Carli di Roma, con una analisi di sistema su più livelli e con qualche proposta di soluzione.
Gros-Pietro: “Il downgrade non sorprende né è una tragedia.
Primo, perché gli effetti negativi di tale decisione li abbiamo già visti, con l’aumento ad esempio del costo marginale del debito pubblico, e poi perché l’Italia è comunque un paese ancora ricco, se consideriamo la ricchezza non liquida fatta di case di famiglia.
In aggiunta, è un paese in equilibrio.
La valutazione degli ultimi mesi del rolling difatti (rolling window, n.d.r.) ci dice che abbiamo un leggero avanzo primario, contro un disavanzo dell’1% della Germania, del 5% della Francia, e del 20% dell’Irlanda.
Certo, ci sono scadenze per il rinnovo del debito ma non abbiamo bisogno di ‘espandere’ il debito, quindi non abbiamo bisogno del mercato.
Per il declassamento, ebbene ben venga qualunque forma di pressione forte sulla classe politica nell’insieme, comprendente maggioranza e opposizione”.
Reichlin: “Penso che il downgrade sia stato un atto dovuto che, al limite, potrebbe avere effetti positivi. Difatti, ciò di cui l’Italia ha bisogno, è una classe politica che sviluppi la consapevolezza della drammaticità della crisi nonché la capacità di sostenere la crescita del paese, sinora deludente, sia per una sua peculiare mancanza d’iniziativa sia per la rissosità delle parti sociali.
L’Italia è un paese diviso difatti, che presenta una debolezza strutturale nel capitale base, ovvero, il basso livello di educazione della forza lavoro, ed una debolezza del sistema finanziario, con banche cariche di sofferenze e di titoli pubblici che ora non sono buon asset. Questo spiega l’andamento della borsa.
Inoltre, si è basata sinora su un sistema semi-pubblico che è andato in soccorso dei problemi del sistema finanziario, cosa insostenibile nel lungo periodo.
Credo comunque che sul piano delle liberalizzazioni, soprattutto al livello delle grandi imprese, ci siano delle possibilità di crescita. Si tratta di sfruttarle”.
Ragusa: “Voglio mettere l’accento sulle problematiche del mondo del lavoro italiano, uno dei macigni che schiacciano le possibilità di crescita del paese.
Il quadro generale identifica diverse problematiche: quella dello human capital, con solo il 14% della forza lavoro laureata, e quella strutturale comprendente un mercato duale con incentivi sbagliati.
Quali sono le distorsioni specifiche di questo sistema? Ebbene, con la riforma del lavoro Biagi si sono creati 2.000.000 di posti lavoro a tempo determinato e parasubordinati che, con l’avvento della crisi, sono stati i primi ad essere spazzati via. Una di quelle unintended consequences che in economics ci sono sempre.

La riforma quindi, ha creato due categorie di lavoratori: quella degli insider, lavoratori con garanzie e protezioni molto forti all’interno di un’azienda, e quella degli outsider, precari alla mercè degli eventi passibili di libero licenziamento.
E su questi ultimi, ovviamente, le imprese non investono risorse perché saranno i primi ad andarsene.
Questo dualismo di condizione è ciò che crea la distorsione del mercato del lavoro.
A mio parere, una sua riforma che non induca distorsioni distruttive per l’economia, aiuterebbe ad aumentare la produttività.
In Italia ad esempio, solo il 20% dei giovani tra i 15 e i 24 anni lavora, mentre la percentuale restante appartiene alla fascia dei not emploied not in education.
Tra 10 anni questa sarà la generazione che dovrà mantenere la produttività e l’economia italiana, ma non avrà l’esperienza per farlo.
Quindi viviamo una situazione in cui i giovani, in genere la forza produttiva dell’economia, non vengono formati de facto”.
La riflessione di Ragusa fa pensare ad un parallelo, a quello che in fisica è una delle definizioni di entropia, l’argomento della seconda legge della termodinamica: ‘l’entropia è una misura di quella energia che non produce lavoro’.
L’entropia italiana cresce quindi, perché cresce la quantità di energia ‘degradata’, i giovani, che non sono in grado di generare lavoro utile. 

Si passa a parlare delle varie impasses del sistema Italia, da quello che secondo Reichlin è un protezionismo eccessivo “che da nazionale diventa addirittura provinciale” alla reticenza degli azionisti ad investire e produrre nel bel paese, determinata, secondo Gros-Pietro, non tanto dal costo del lavoro ma dai costi di organizzazione, quindi di capitale fisso e dei costi di struttura.
La soluzione generale di queste matrici dovrebbe condurre, secondo i professori, ad una tempestiva liberalizzazione del sistema produttivo - l’Europa e il fondo monetario internazionale difatti chiedono pronte riforme - passando attraverso la vendita di aziende pubbliche, quali quelle municipalizzate, esempi di “inefficienza, vizi e nepotismo” italico, a parere di Gros-Pietro.
Secondo Ragusa, una soluzione plausibile che determini l’aumento del reddito familiare e stimoli i consumi prevedrebbe la riorganizzazione del poco progressivo sistema fiscale italiano, allineandolo a quello americano.
“Se dividiamo la distribuzione di chi paga l’IRPEF in quinti” – dice il professore – “possiamo calcolare che il primo 20% della distribuzione paga in media il 19% sul reddito, mentre l’ultimo quinto paga il 24%.
Nel modello americano invece, il primo quinto paga il 4% e l’ultimo paga il 25%”.
Queste statistiche comunque, avverte Ragusa, vanno lette considerando varie discriminanti e variabili perché il sistema italiano “ha il problema del cuneo fiscale e dell’evasione, quindi questi dati sono calcolati su chi paga le tasse, e noi non sappiamo chi, invece, non le paga…”
Riforma del sistema fiscale quindi, anche nella prospettiva di spostamenti dell’imposizione da produzione di reddito a tassazione di beni, in cui si paga l’agio e la base imponibile si allarga.
Un’ultima riflessione viene fatta su uno dei possibili motivi per cui il sistema economico italiano non cresce, ovvero, la mancanza di iniziativa imprenditoriale, calcolata sull’esiguo numero di startup.
Viene proposta con le parole di Tim Harford del Financial Time, secondo il quale “si può avere successo solo se si prova a fallire e si riprova” ma in Italia, paese di eroi, pochi hanno la temerarietà di rischiare e non si sono appropriati del concetto che fallire sia una cosa normale.
Poco rischio, poco ritorno. Un’equazione semplice.
Non molte ore dopo l’incontro con i professori della Luiss, Emma Marcegaglia, presidente della Confindustria nonché della stessa Luiss, dichiarerà che la confindustria presenterà al governo italiano ‘un manifesto delle imprese per salvare l’Italia’ pronunciando le parole: "Vogliamo un cambiamento vero e lo vogliamo velocemente. Basta vivacchiare. Se l'esecutivo vuole discuterne bene, se no scinderemo le nostre responsabilità dalle loro (governo, n.d.r.)."
Anna Maria Sanna